Augusto Lopez Claros, direttore per gli indicatori globali e l’analisi della Banca Mondiale, ha sintetizzato la questione così: se in una sola città italiana si concentrassero tutte le best practice che abbiamo riscontrato nei 13 capoluoghi italiani esaminati e assumessimo quella città come identikit di riferimento, l’Italia nella classifica mondiale del nostro “Doing business“passerebbe in un sol colpo dal settantatreesimo posto ottenuto nel 2013, dove l’Italia si confronta con la performance di paesi come la Nuova Zelanda o Singapore, al numero 56 della classifica generale. In pratica, secondo il commento del direttore generale della Banca d’Italia, Fabrizio Saccomanni «se in ciascun settore si adottassero le prassi in vigore nelle città più virtuose, il posizionamento dell’Italia nella graduatoria complessiva di Doing Business migliorerebbe di 17 posizioni, avvicinandoci alla media dei paesi dell’Ocse».
Dunque, per dirla con il linguaggio eufemistico della World Bank, «c’è ampio spazio di miglioramento» anche per le amministrazioni locali oltre che per i governi, allo scopo di creare un ambiente più favorevole all’attività d’impresa. Ovvero, come avrebbe spiegato Carlo Azeglio Ciampi, «non siamo condannati» all’inefficienza, alla mancanza di concorrenza, al costo eccessivo dei servizi all’impresa, ai tempi biblici della giustizia civile.
E non c’è nemmeno una condanna a priori per chi è nato nel Mezzogiorno d’Italia, come fa notare il ministro per la Coesione territoriale, Fabrizio Barca, ricordando le best practice che si possono trovare là dove uno non se le aspetterebbe:(Catanzaro prima in classifica per il parametro sulla facilità di avviare un’impresa, Cagliari al numero due per la facilità di ottenere un permesso edilizio). Poi, però, esistono le cosiddette “questioni di contesto” per le quali il dualismo territoriale continua a pesare, eccome.
Esistono, poi, terreni sui quali si registra un’arretratezza dell’intero Paese rispetto ai suoi partner. Per dire, Torino si piazza prima nella classifica italiana per i tempi di risoluzione di una disputa commerciale, ma i suoi 855 giorni di durata media di sono comunque più del doppio della durata media francese (390 giorni). C’è inoltre la questione costi: in Italia avviare un’impresa può essere un’azione rapida ma è sempre un’azione costosa (a Milano è pari al 16,8% del reddito pro-capite contro una media Ue del 4,9%).
E c’è, infine, la questione tasse: il rapporto globale della Banca mondiale rileva che nel complesso le tasse per le imprese italiane sono pari al 68,3% dei profitti. Non è un parametro molto business friendly.
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