Abiti scuri su facce giovani, ieri al ministero dell’Istruzione e della Ricerca. Una platea di studiosi under-30 convocati per solennizzare i finanziamenti che sono stati assegnati ai progetti di «social innovation» relativi alle quattro regioni che, nel linguaggio europeista, sono destinatarie di risorse che dovrebbero avvicinarle agli standard del continente. Quattro di questi programmi stesi a più mani sono stati illustrati alla presenza delle autorità: sul monitoraggio della salute in Calabria, su una app per il rione Sanità, sulla percezione delle emissioni di Co2 a Palermo, sul riutilizzo di scarti agricoli per la coibentazione di edifici.
E ai quattro progettisti sono stati consegnati dal ministro Francesco Profumo assegni postali grandi come quelli del Signor Bonaventura, attorno ai 600 mila euro, con giusta soddisfazione di tutti. In un Paese dove il merito viene usato come una medaglia che ci si dà da sé o come il prodotto di algoritmi basati sulle quantità, una buona notizia, insomma. Dietro la quale si ergevano le criticità che la commissaria europea alla ricerca ha rilevato nel corso del suo viaggio a Roma e che Profumo ha ricordato coraggiosamente e senza giri di parole. L’Europa trova la nostra ricerca chiusa, opaca e lenta. Più che una critica, un requiem, dal quale si esce solo con un cambio di mentalità di cui il governo della ricerca può accompagnare l’esito. Una mentalità che informa di sé i linguaggi.
Faceva infatti impressione che a più riprese questa bella platea di intelligenze, arrivate puntuali, perfino ben vestite per rispetto a quella parte del sé che chiamiamo istituzioni, venisse definita «ragazzi». Cinquantaquattro premiati che ricevono in totale quaranta milioni di euro dello Stato non possono essere ridotti a «ragazzi». «Sono l’ingegnere Clara Nino», ha esordito la progettista calabrese: rivendicando giustamente il valore di una professione. Di questo orgoglio del sapere il Paese ha più che mai bisogno. Tutti dobbiamo abituarci all’idea che non esistono solo ragazzi da istruire, ma giovani colleghi, capaci di vincere insieme: almeno in questo un modello per la ricerca e forse anche per altre cose.
Alberto Melloni Corriere della Sera
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