Prendere una scarpa di cuoio e farne del tacco lo stelo di un fiore di cactus, di quelli che fioriscono solo una notte e poi niente più; la tomaia e il cuoio lacerati si aprono come petali carichi di una bellezza gotica, un po’ spaventosa e insieme attraente. Prendere delle giacche maschili e farne un quadro di paesaggio, in cui il cielo e la terra si avvicinano grazie a un sapiente uso di ago e filo. Prendere delle camicie, maschili o femminili, metterle una nell’altra fino a formare una scultura che sboccia.
Cotone, pelle, lana, seta, cuoio, materiali quotidiani provenienti da abiti usati sono dal 1987 il repertorio artistico dell’artista finlandese Kaarina Kaikkonen (si pronuncia così come si scrive), che ha da poco stupito il pubblico italiano con due mostre: a Roma (Having Hope) presso la Galleria Z2O di Sara Zanin nella nuova sede di via della Vetrina 21 (dove sono esposte, tra le varie opere, anche le scarpe-fiore), e nella sede della Collezione Maramotti (i creatori di Max Mara per intenderci) di Reggio Emilia, dal titolo Are we still going on?. Invitata la prima volta in Italia dalla curatrice Julia Draganovic al Pan di Napoli, nel 2008, Kaarina ha creato installazioni site-specific per il Pastificio Cerere di Roma, e sue opere erano esposte anche all’ultima edizione di Arte Fiera di Bologna. Cominciamo dunque a riconoscere la sua cifra stilistica negli appuntamenti e nei luoghi istituzionali dell’arte contemporanea italiana, e presto il Maxxi di Roma ospiterà una sua grande installazione che promette bene.
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A Reggio Emilia l’installazione Are we still going on? ha occupato tutto l’ex ingresso della fabbrica tessile con una scenografia gigante, che simula la carena di una grande barca, composta di questi materiali flosci e poco nobili ma che ti avvolgono, così come fa una camicia o una giacca, assumendo però inaspettatamente una qualità architettonica e pittorica molto forte. Il titolo dell’installazione apre possibili interpretazioni su questa ‘barca’: il viaggio della vita, ricordi e nostalgia, ma anche forse immigrazione e migrazione di popoli sono i temi che si ascoltano dai commenti dei visitatori. “This title is talking about our life, our future. We all need each other. But it is also talking about our past, our history as humans” mi dice Kaarina.Quello che è certo è che sia nella galleria di Roma che nello spazio di Reggio Emilia i suoi ambienti non lasciano indifferenti. A volte nella sorpresa, a volte nella commozione, si riconosce alla sua opera una qualità intima, che tocca le corde più profonde dell’affettività. Torna alla mente la scena finale del film di Sam Mendes American Beauty, quando Annette Bening si getta piangendo sulle camice del marito appena morto, tentando un ultimo abbraccio. È così anche per l’artista? Quante volte i ricordi di affetti perduti rivivono alla vista e al contatto di abiti che hanno sfiorato la pelle di chi non c’è più? Mi sono chiesta osservando queste opere se si tratti di un’interpretazione, la mia, tipicamente femminile, o se è l’arte di Kaarina espressione del cuore e dell’anima di una donna che davanti al destino, come una Penelope, attende, attende, attende il momento di congedarsi. Certo è che la prima volta che ho vista una sua installazione, così carica di storie e umanità nella semplicità dei materiali, ho sentito un sussurrare di storie di uomini e donne arrivarmi da quel mare di stoffe vissute. Nelle foto che la ritraggono al lavoro, l’artista siede tra i suoi stracci, magnifica Aracne di cose perdute.
La Collezione Maramotti di Reggio Emilia, aperta al pubblico dal 2007, vanta una bella collezione permanente di arte internazionale dal secondo dopoguerra, una raccolta cominciata più di trent’anni fa con Achille Maramotti. Accanto a opere di Burri, della Transavanguardia, di Claudio Parmiggiani, di Francis Bacon, Anselm Kiefer e di arte americana contemporanea, la sede organizza periodicamente mostre di artisti emergenti, in parte provenienti dal Max Mara Art Prize for Women, in collaborazione con la Whitechapel Gallery, rivolto ad artiste emergenti con base nel Regno Unito. La fabbrica e la sua collezione sono diventati così in breve tempo un centro promotore dell’arte contemporanea internazionale, che vale il viaggio nella cittadina emiliana.
Maria Stella Bottai
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