Il grande direttore d’orchestra, forse il maggiore in Italia dopo Toscanini, è nato a Milano nel 1933 da una famiglia borghese e ricca di stimoli culturali. Il padre Michelangelo, infatti, è un valente violinista che indirizzerà i figli al rigoroso, ma nello stesso tempo libero e giocoso, studio delle sette note (da ricordare, infatti, che anche il fratello Marcello diventerà musicista, per poi diventare direttore del Conservatorio milanese). Questo approccio aperto e privo di complessi, in contrasto con l’immagine sofferta spesso associata a numerosi musicisti “classici”, ha spinto il Maestro Abbado a scrivere, negli anni della maturità, anche piacevoli libri illustrati, proprio all’insegna del gioco, per avvicinare piccoli o adulti curiosi al magico mondo dei suoni.
Il giovane Claudio studia quindi composizione, pianoforte e direzione d’orchestra al Conservatorio di Milano, fino al 1955. Tra le sue prime esperienze, suona e dirige con l’Orchestra d’archi formata proprio dal padre. Risale già a questi anni il suo legame con la città di Vienna dove si reca, tra il ’56 e il ’58, come studente vincitore di due borse di studio, per seguire i corsi di perfezionamento di Hans Swarowski insieme a Zubin Mehta, che aveva conosciuto al corso dell’Accademia Chigiana di Siena tenuto da Carlo Zecchi (celebre pianista e didatta). Partecipando con Mehta al coro della Gesellschaft der Musikfreunde, può assistere alle prove di altri grandissimi “demiurghi” del podio, veri stregoni della tavolozza coloristica e della strumentazione, che rispondono ai giganteschi nomi di Bruno Walter (l’allievo prediletto di Mahler!), George Szell, Hermann Scherchen (l’apostolo della Nuova Musica) ed Herbert von Karajan.
Nel 1958 vince il premio Koussevitzky a Tanglewood e in quell’occasione viene invitato come direttore di un’orchestra in America, ma decide di tornare in Europa. Nel ’59 debutta a Trieste (dove tornerà, nel ’62, con “L’amore delle tre melarance” di Prokof’ev) e, nel ’99, alla guida della Gustav Mahler Jugendorchester, come direttore sinfonico.
Il debutto ufficiale nel grande circuito internazionale è invece datato 1960, nientemeno che alla Scala di Milano, teatro che successivamente lo vedrà direttore musicale dal 1968 al 1986. In questa veste, contribuisce in maniera fondamentale ad allargare la visuale cronologica del teatro e ad arricchire notevolmente la cultura milanese nel suo complesso.
Infatti, amplia moltissimo il repertorio, includendo classici del ventesimo secolo allora raramente eseguiti come “Wozzeck” e “Lulu” di Berg, “The Rake’s Progress” e “Oedipus Rex” di Stravinskij, “Moses und Aron” ed “Erwartung” di Schönberg, “Il mandarino meraviglioso” di Bartók fino ad opere più eminentemente vicine a noi (per non dire appena scritte), come “Il paradiso perduto di Penderecki”, il colossale ciclo “Licht” di Stockhausen, “La vera storia” di Berio e “Al gran sole carico d’amore” dell’amico Luigi Nono.
Dal 1966 il Maestro italiano era comunque già approdato alla guida dell’orchestra più prestigiosa del mondo, i Berliner Philarmoniker, allora fortemente caratterizzati dall’impronta che lo stregonesco von Karajan aveva loro impresso (impronta che si traduceva in una grande bellezza ed omogeneità di suono e in un equilibrio tale da rasentare il patinato). Dopo un grande lavoro effettuato insieme a questa vera e propria “Cadillac” delle orchestre, e dopo aver cercato di apportare il segno della sua personalità, nel 1989 l’Orchestra lo sceglie come direttore stabile e direttore artistico. Da allora la musica del Novecento viene inserita regolarmente nella programmazione dei concerti a fianco del repertorio classico e romantico.
Per certi versi, si tratta di una grande rivoluzione, anche sul piano della concezione sonora, dato che von Karajan, a conti fatti, raramente si era spinto oltre Schoenberg. Indimenticabili, in questo senso, rimangono certi risultati come quelli ottenuti con la musica di Kurtag, davvero sorprendenti per chi era abituato alle “nuances” del precedente direttore.
Dal 1986 al 1991, invece, è stato direttore musicale della Staatsoper di Vienna e Generalmusikdirektor della Città di Vienna dal 1987. Nel 1988 ha fondato il Festival Wien Modern, manifestazione iniziata come festival annuale di musica contemporanea, poi sviluppatasi fino a includere tutti i diversi aspetti dell’arte contemporanea (cinema, teatro, poesia e così via). E’ da sottolineare la grande e sottile operazione culturale che il direttore milanese ha perseguito. Lo scopo è quello di allargare il campo d’azione della musica, in un’ottica che cerchi di svelare le interrelazioni fra quest’ultima e le altre arti. Ecco dunque i progetti ispirati alla poesia di Hölderlin, al mito del “Faust” o alla tragedia greca oppure all’opera diShakespeare e così via. A queste iniziative si affianca un lavoro di scavo multimediale che ha permesso al pubblico di accostare le opere registiche e i film di Tarkovskij, il teatro di Peter Stein e di altri grandi.
Dal 1994 è anche direttore artistico del Festival di Pasqua di Salisburgo.
Claudio Abbado, inoltre, ha sempre sostenuto i giovani talenti. A lui si deve una vera e propria opera filantropica, in questo senso. Impegnato anche nel sociale e attento alla crescita e alla valorizzazione di giovani musicisti, ha fondato numerose orchestre giovanili di altissimo livello.
Nel 1978 ha fondato la European Community Youth Orchestra, nel 1981 la Chamber Orchestra of Europe e nel 1986 la Gustav Mahler Jugendorchester dalla quale si è costituita nel 1988 la Mahler Chamber Orchestra, nuova formazione residente a Ferrara. Con quest’ultima ha anche tenuto a battesimo diversi concerti a Cuba, con lo scopo di fornire sollievo materiale e spirituale a quella terra tormentata.
Nel 1992 ha dato vita a Berlino, con Natalia Gutman (celebre violoncellista), alle Berliner Begegnungen, appuntamento durante il quale musicisti di lunga esperienza lavorano con giovani compositori. Dal 1994, nel corso del Festival di Pasqua di Salisburgo, vengono assegnati premi per la composizione, le arti figurative e la letteratura.
La migliore sintesi di quello che rappresenta Claudio Abbado l’hanno scritta i devoti fan del “Club Abbadiani Itineranti: “La sua attenzione al Novecento contribuisce alla diffusione del repertorio viennese di Schönberg, Berg, Webern e della musica post-weberniana giungendo fino alle esperienze contemporanee. Abbado affronta però il Novecento di matrice viennese o le opere sperimentali di Nono senza chiusure e preconcetti, non trascurando, quindi, altri importanti aspetti. In anticipo di almeno vent’anni, contribuisce infatti alla conoscenza di autori come Prokof’ev, Bartók , Strauss, Stravinskij, Skrjabin, Hindemith, trascurati o guardati con sospetto da un certo pensiero dogmatico dell’avanguardia sperimentale.
Nello stesso tempo, un nuovo modo di affrontare le partiture, con preparazione e ricerca filologica (punti di partenza per una libera e approfondita interpretazione), gli ha permesso di rileggere in una più coerente prospettiva brani noti del repertorio tradizionale e di recuperare brani di autori dei quali si conosceva o si apprezzava solo una parte della produzione (si pensi, ad esempio, alle esecuzioni sui manoscritti originali delle Sinfonie di Schubert o alla riscoperta del “Viaggio a Reims” di Rossini). Ma anche nel repertorio classico e romantico, oltre ai cicli di Beethoven e di Brahms, vengono proposti brani di autori allora ancora poco eseguiti come Mahler e Bruckner tra i quali compaiono alcune prime esecuzioni a Milano e addirittura in Italia.
Questo può avvenire anche grazie alla presenza di direttori ospiti (talvolta alla guida dell’orchestra scaligera, talvolta con altre formazioni di prestigio internazionale) del livello di Böhm, Karajan, Kleiber, Bernstein, Ozawa, Muti, Maazel, Mehta,Barenboim, Solti. Dal ’72, per sua volontà e per la prima volta nella storia del teatro, apre la Scala a studenti e lavoratori con proposte e agevolazioni pensate appositamente per sollecitare una vasta partecipazione popolare.
Il repertorio operistico diretto da Abbado alla Scala copre un arco vastissimo che comprende, oltre ai grandi punti di riferimento della tradizione, capolavori trascurati di autori più o meno noti. Spesso le opere vengono presentate in una nuova edizione critica, dopo un’attenta e puntuale ricostruzione della partitura”.
Assai nutrita è anche la sua produzione discografica, caratterizzata da una notevole escursione attraverso i secoli. Il direttore milanese, infatti, non si riconosce nel ruolo di “specialista” oggi tanto di moda grazie al recupero e al diffondersi della mentalità “filologica” (qualunque cosa quest’espressione possa voler dire in un’arte così ambigua come la musica). Fra le punte più alte della sua produzione si possono ricordare il recentissimo e choccante ciclo beethoveniano realizzato con degli irriconoscibili Berliner, assottigliati in una formazione quasi da camera. Alberto Arbasino, a questo proposito ha scritto:
“[…] Ma com’era quell’orchestra di Klemperer negli anni Cinquanta? Enorme, abbondantissima; e l’esecuzione era solenne, imponente, tutta “gravitas” sacrale. Quella di Abbado invece “leggera”, agile e spiritata come quelle di Carlos Kleiber o di De Sabata. Si basa (lo spiega lui stesso) su un’ottima nuova edizione critica; ma anche l’organico è snello e lieve come doveva essere in quelle sale viennesi del primo Ottocento, in gran parte esistenti tuttora. Quindi, per noi che non abbiamo studiato musica a scuola (e questa è una delle vergogne della scuola italiana), basta consultare la Garzantina della Musica alla voce “orchestra”. E si trova la disposizione grafica della grossa orchestra sinfonica moderna, abituale nelle esecuzioni con strumenti moltiplicati; e a fronte l’orchestra “classica”, tipica dei tempi di Beethoven e riadottata da Abbado. Si vede subito: i violoncelli sono pochi, davanti, in mezzo; e non alla destra del pubblico come al solito. Ma anche due flauti, due oboi, due clarinetti (eccetera, invece di numerosi raddoppi) permettono una precisione di sveltezza paradisiaca nelle entrate forti e soft di qualunque strumento […]“.
Accanto a Beethoven (fra l’altro omaggiato con un’altra integrale a capo dei Wiener una decina di anni prima), vanno ricordate le integrali delle opere di Mahler, Mendelssohn, Schubert, Ravel e Cajkovskij, Prokof’ev, Dvorák, senza dimenticare le fondamentali registrazioni operistiche, il più delle volte vere e proprie operazioni di stupendo “maquillage” musicale, tali da imporre nuove concezioni e nuovi modi di intendere l’opera eseguita; fra queste: “Il viaggio a Reims” e “Il Barbiere di Siviglia” di Rossini, il”Boris Godunov” di Musorgskij, il “Pelleas e Melisande” di Debussy e così via. Di recente, il Maestro ha anche affrontato Wagner, con esiti come sempre da brivido.
Nel corso della sua prestigiosa carriera Abbado ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti: nel 1973 i Wiener Philharmoniker gli hanno conferito l’Ehrenring e nel 1980 la Medaglia d’Oro Nicolai, sempre a Vienna ha ricevuto la Mozart e la Mahler Medaille e l’Ehrenring der Stadt Wien. In Italia gli è stata conferita la Gran Croce per meriti in campo musicale e la Laurea honoris causa dell’Università di Ferrara, in Francia la Croce della Legion d’Onore, in Germania l’Ernst-von-Siemens-Musikpreis e a Cambridge ha ricevuto la laurea honoris causa.
Recentissimamente, ha ricevuto dal Presidente della Repubblica Tedesca Johannes Rau la “Bundesverdienstkreuz mit Stern”, la più alta distinzione della Repubblica Federale.
Per concludere, Claudio Abbado ha rotto un altro tabù: con geniale e generosa iniziativa ha aperto al pubblico, gratuitamente, le sessioni di incisione dei suoi dischi con i Berliner Philharmoniker alla Philharmonie a Berlino, svoltesi sempre a porte chiuse.
Dopo gli impegni berlinesi terminati nel 2003, Abbado si è dedicato con costanza alla Chamber Orchestra of Europe. Nel maggio dirige a Parigi un concerto per celebrarne il ventennale dalla fondazione, nel quale esegue un programma dedicato a Schubert.
Nel 2004 promuove nella città di Bologna la nascita dell’ Orchestra Mozart, di cui diviene direttore musicale ed artistico.
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