Questo autunno Roma ha decisamente aperto le porte all’Oriente con due belle mostre, molto diverse tra loro, negli incantevoli spazi del Chiostro del Bramante e delle Terme di Diocleziano.
Cominciamo con il Chiostro. Il museo ci ha abituati negli anni a mostre di qualità, spesso difficili da realizzare perchè fuori dalla logica dei grandi nomi che si impone nella programmazione di molti musei (ricordiamo a titolo di esempio gli Iperrealisti americani, Gaspar Van Wittel, il Déco in Italia).
Nelle sale intorno al chiostro rinascimentale che dà il nome allo spazio è il turno di una bella mostra sugli Orientalisti italiani, Orientalisti. Incanti e scoperte nella pittura dell’Ottocento italiano (fino al 22/01/2012).
Anch’essa una scelta coraggiosa, sebbene l’arte dell’Ottocento sembri conoscere oggi una nuova ondata di preferenze da parte del pubblico, complici anche le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Ma, almeno a Roma, è un secolo ancora trattato saltuariamente, nelle programmazioni dei musei (come la Galleria Nazionale di Arte Moderna, le Scuderie del Quirinale, il Vittoriano, Palazzo Braschi o il Museo Napoleonico) o affidato alle iniziative private di storiche gallerie e antiquari (come la galleria Carlo Virgilio, Antichità Berardi, Galleria Alessio Ponti, Nuova Galleria Campo de’ Fiori).
L’Orientalismo qui presentato è la versione peninsulare dell’ampio genere pittorico che ha avuto la sua magnifica stagione in Francia e in Inghilterra, grazie alle campagne coloniali e ai viaggi degli artisti nei paesi al di là del Mediterraneo. Parigi aveva trattato questo movimento lo scorso anno, all’interno della grande mostra dedicata dal d’Orsay a Jean-Léon Gérôme, maestro apprezzato anche dai pittori ‘ribelli’ quali gli Impressionisti. Oggi la mostra romana, curata da Emanuela Angiuli e Anna Villari, ci racconta “gli echi della spedizione di Napoleone in Egitto, i resoconti di esploratori, faccendieri e ardimentosi avevano infiammato la fantasia del Vecchio Continente. Le cronache di piaceri proibiti, odalische, harem, hammam avevano fatto il resto. Poi c’era la voglia di saperne di più, di scoprire e capire terre geograficamente non tra le più lontane, eppure distanti per cultura, storia, atmosfere. Una malia che stregò molti artisti, alimentata da committenti altrettanto presi dal fascino di un Oriente vicino e, allo stesso tempo, lontanissimo”. Le varie sezioni (il deserto, la città, le figure, le odalische) presentano nomi nuovi e affermati al pubblico delle mostre: accanto ai beduini a cavallo di Stefano Ussi, partito alla volta dell’Egitto e del Marocco – dove trova spunto per illustrare appunto “Marocco” di Edmondo De Amicis – ammiriamo (quasi una scoperta) i parmensi Alberto Pasini, di Busseto, conterraneo dunque e quasi coetaneo di Giuseppe Verdi, e Roberto Guastalla, detto il pellegrino del sole, le cui opere hanno già una tendenza all’astrazione sui volumi architettonici e i grandi cieli. I nomi sono molti, De Nittis e Previati, Michele Cammarano, Ettore Cercone, Francesco Netti, Francesco Vinea, il più contemporaneo Giuseppe Amisani, Francesco Hayez (che però non si mosse dall’Italia), Ippolito Caffi, Domenico Morelli. E di quest’ultimo piace segnalare un’opera magnifica, collocata nella seconda sala, La preghiera di Maometto (1886-1887, dal Museo Revoltella di Trieste). Maometto si stacca dalla folla per invocare Allah prima della battaglia. Dietro di lui il suo esercito inginocchiato in preghiera sembra un’onda che muove verso la costa. L’ampia composizione diagonale, la profondità dello sfondo nella foschia di un cielo violaceo, la pennellata fluida che rende la materia in maniera eccezionale in una palette tutto sommato sobria, ne fanno una delle più belle tele da ammirare a Roma in questa stagione espositiva autunnale.
Tra le opere, a volte un po’ sacrificate dalla scelta dei colori delle pareti, si leggono brani della letteratura di viaggio tratti dalle descrizioni di Pierre Loti, del nostro De Amicis, di Flaubert, alla ricerca di un parallelismo tra figura e parola per rendere la suggestione dell’esotismo del viaggio.
A riguardare il catalogo (Silvana Editoriale) dopo aver visitato la mostra, restano in mente i deserti ocra, i cieli abbacinanti, le chiazze di colore sulle stoffe preziose, le strade dei suk cariche di oggetti e persone. Una ‘folla’ di dettagli che si anima nella seconda mostra, A Oriente. Città, uomini e dei sulla vie della seta (fino al 26 febbraio 2012), alle splendide Terme di Diocleziano a Roma dove ha luogo la Biennale Internazionale di Cultura “Vie della Seta” curata da Zètema Progetto Cultura. L’allestimento narra attraverso opere archeologiche, oggetti di uso quotidiano, foto e documenti l’immensa umanità che ha percorso la via della seta. Il suggestivo percorso multimediale interattivo è stato curato dal celebre gruppo di artisti multimediali Studio Azzurro, che ci ha ormai abituati alla loro regia per mostre su temi diversi. Attraverso video, foto, animazioni e un sapiente uso della luce, i pregiati pezzi antichi così come gli oggetti più comuni vengono animati all’avvicinarsi dello spettatore. La sensazione è di camminare a ritroso nel tempo, in luoghi millenari, faccia a faccia con i viaggiatori che hanno calpestato le strade delle antiche capitali mediorientali e asiatiche portando con sé non solo la preziosa stoffa ma storie da raccontare.
Maria Stella Bottai
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