A cura di Viviana Normando/
A Rende (Cs) davanti al Comune giunge il “Terzo Paradiso”, più che un’opera un simbolo, una icona che ha viaggiato per il mondo, dalla piramide in vetro del Louvre all’Arena di Verona, da Assisi a Courmayer.
Rappresenta un sentimento di piena appartenenza e condivisione, diventato decisivo per Michelangelo Pistoletto, quasi che ne riassumesse per intero la carriera e ad identificarsene.
Michelangelo Pistoletto è uno dei più grandi artisti contemporanei, pittore e scultore, protagonista della corrente dell’arte povera, capace non solo di rappresentarsi nello specchio della vernice delle sue opere ma di unire passato al presente, con un ponte ad esempio tra Alberto Burri e Piero della Francesca e mettendo sempre non se stesso ma l’uomo e il suo contesto al centro della concezione della sua arte, “Da uno a molti”. Un autentico motivo d’orgoglio per l’Italia.
“Terzo Paradiso” significa che alla fine del secondo paradiso, quello artificiale che viviamo oggi, seguente al paradiso naturale, dobbiamo creare il terzo stadio del percorso umano, generando un rapporto equilibrato tra natura e artificio. Dunque, un incentivo importante per il tramite di un’arte unica.
Il termine “paradiso” proviene dall’antica lingua persiana e significa “giardino protetto”.
Il nostro giardino è il pianeta Terra, spetta a noi curarlo e proteggerlo.
“Il simbolo del “Terzo Paradiso” – dice Roberto Bilotti Ruggi D’Aragona Direttore del Museo di arte contemporanea nell’omonimo castello di Rende (Cs) e creatore di sette musei da Palermo a Roma e varie sezioni in Italia in contesti già esistenti – è la riformulazione del simbolo matematico dell’infinito. I due cerchi opposti si polarizzano nel cerchio centrale che rappresenta il grembo della rinascita. Questo simbolo è una prospettiva dell’arte offerta alla società. Nasce da una linea che incrociandosi due volte crea tre cerchi: i due esterni rappresentano le differenze, le contrapposizioni (opposizioni), con al centro connessioni, per far connettere le contrapposizioni in modo creativo e realizzare un collante di cultura, simbolo di pace e di equilibrio”.
L’artista è anche noto per “Quadri specchianti” del 1961 e 1962, sperimentazioni tese a raggiungere il massimo grado dell’oggettività, che ha visto manifestarsi nei quadri a fondo nero, con l’utilizzo di acciaio lucidato a specchio, che garantisce la migliore specularità della figura ritratta.
“Quando nel 1961, su un fondo nero, verniciato fino a diventare specchiante, ho cominciato a dipingere il mio viso, l’ho visto venirmi incontro, staccandosi nello spazio di un ambiente in cui tutto si muoveva, e ne sono rimasto scioccato. Mi sono anche accorto che non dovevo più guardarmi in un altro specchio, ma che potevo copiarmi guardandomi direttamente nella tela. Nel quadro successivo girai la figura di spalle, perché ancora gli occhi dipinti erano artificiali, mentre quelli del riflesso apparivano veri come quelli della figura che ora stava sulla superficie del quadro guardando nel quadro. Infatti essa, essendo adesso girata nella mia stessa direzione, possedeva i miei stessi occhi.”
(M. Pistoletto, Il rinascimento dell’arte, 1979 – manoscritto inedito)
“L’uomo dipinto veniva avanti come vivo nello spazio vivo dell’ambiente, ma il vero protagonista era il rapporto di istantaneità che si creava tra lo spettatore, il suo riflesso e la figura dipinta, in un movimento sempre “presente” che concentrava in sé il passato e il futuro tanto da far dubitare della loro esistenza: era la dimensione del tempo.”
(M. Pistoletto, Oggetti in meno, Galleria La Bertesca, Genova 1966)
Diverse di queste opere sono state esposte nel 2009 al Museo Bilotti di Villa Borghese a Roma con la mostra: “Speculazioni d’artista. Quattro generazioni allo specchio”. Lo specchio “il possibile nel reale” come viene definito da Michelangelo Pistoletto, è in tutte le sue declinazioni, simbolo rivelatore di verità e di inganni, oggetto rituale e sacro fin dalle origini della civiltà, in oriente come in occidente. Lo specchio magico in cui leggere il presente, il passato e il futuro, è usato anche da negromanti e sciamanie dagli anni ’60, dove entra nel gioco artistico con Marcel Duchamp in “Grande Vetro” del 1915.
Ancora una volta un ponte tra il presente e il domani, dove resta la realtà che si specchia e dove sdoppiandosi ci si può vedere a tutto tondo, da parte dell’artista che crea il soggetto e del fruitore che prosegue l’opera.
Lo spazio d’accoglienza della mostra a Rende di Michelangelo Pistoletto è sul prato davanti la sede del Comune di Rende, in Piazza San Carlo Borromeo, anche se la location iniziale di Bilotti era il Centro storico nei pressi del castello legato al Museo di Arte contemporanea quale elemento iconico ove lo spazio non lo ha consentito. Nello stesso museo di Arte Contemporanea vi sono tre straordinari abiti di Pistoletto, donati al Comune di Rende, che reinterpretano il concetto di “Terzo Paradiso”.
Ciò si evince dal mantello bianco che rievoca il “Terzo Paradiso”, con il simbolo realizzato con la cucitura di vecchi bottoni quale elemento di unione e divisione, i poli opposti del maschile e del femminile aderente al concetto di rinascita alla base della sua poetica.
Poi si deduce dall’abito simbolo del “Terzo Paradiso” a campo pieno con stracci colorati recuperati.
E quindi nell’abito simbolo del “Terzo Paradiso”, con la stoffa tubolare, in panni riusati proprio come gli scarti di marmo portati oggi a Rende a costituire l’opera secondo la poetica dell’Arte Povera degli anni ’60.
Il movimento è nato in polemica con l’arte tradizionale, della quale Michelangelo Pistoletto rifiuta tecniche e supporti per fare ricorso, appunto, a materiali “poveri”, con l’intento di evocare le strutture originarie del linguaggio della società contemporanea, dopo averne corroso abitudini e conformismi semantici.
L’artista si manifesta essenzialmente “nel ridurre ai minimi termini, nell’impoverire i segni, per ridurli ai loro archetipi”.
Straordinario.
E’ davvero un peccato che il castello con il Museo Roberto Bilotti Ruggi D’Aragona, in Piazza Giuseppe Garibaldi, frutto del lavoro e dei doni del mecenate nonché vanto della città di Rende e della Calabria, non sia collegato alla mostra che Bilotti stesso ha favorito per amore proprio della terra calabrese e che non sia indicato con apposite segnaletiche affinché Rende e la Calabria possano essere, nel loro complesso, al centro della cultura non solo nazionale ma anche internazionale e possa avere la giustizia che merita la sua bellezza. 6
Ma siamo certi che Roberto Bilotti, uomo di grande cultura e generosità, sia felice che Rende possa esaltare la figura di questo grande artista con la mostra dal titolo: “Esplorare rende felici “ ed “Esplorando lo spazio celeste” e che possa mostrare al mondo questo desueto progetto nato dalla collaborazione tra gli assessorati ai rapporti con l’Università e alla cultura del Comune di Rende e per la direzione scientifica, con il Dipartimento di Fisica dell’Unical, coniugando in modo innovativo la diffusione della conoscenza scientifica con un’esperienza artistica irripetibile nel suo genere.
Da evidenziare un’altra caratteristica del lavoro di Michelangelo Pistoletto degli artisti del movimento “povero” ovvero il ricorso alla forma dell’installazione, come luogo della relazione tra opera e ambiente che oggi, dopo la lunga collaborazione collezionistica e operativa della famiglia e del Museo Bilotti di Villa Borghese a Roma, ha l’onore e il privilegio di rivivere a Rende e di ispirare certamente ulteriori progetti peculiari.
Viviana Normando
In Foto, per gentile concessione di Roberto Bilotti: Roberto Bilotti e gli abiti con il simbolo del “Terzo Paradiso” del Museo di Arte Contemporanea nel Castello di Rende.
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