di Stella Bottai
Capita con alcuni artisti di non riuscire a dividere la storia personale da quella della produzione artistica. Con l’artista messicana Frida Kahlo (1907-1954) la questione è insoluta, e probabilmente inutile. Senza la sua malattia, l’incidente gravissimo, la sua quotidiana lotta con il male, non sarebbe diventata artista e non avrebbe lasciato una serie di autoritratti di crescente intensità.
Frida Kahlo gode da un trentennio di crescente notorietà grazie alla mostra realizzata a Città del Messico nel 1977, a cui seguirono rassegne negli Stati Uniti e in Europa. Parte della sua rinnovata fama si deve anche alla cantante Madonna che ne è stata precoce collezionista negli anni Ottanta, e al film vincitore di 2 premi Oscar Frida, interpretato e prodotto da Salma Hayek (2002). Oggi Roma accoglie fino al 31 agosto 40 capolavori di Frida Kahlo (e non solo) in un’ampia retrospettiva allestita alle Scuderie del Quirinale, a cura di Helga Prignitz-Poda, provenienti in larga misura dalle collezioni dei coniugi Gelman, che con la collezione di Dolores Olvedo rappresenta la più grande raccolta di opere di Frida. La mostra è sponsorizzata da Enel.
Girando per la mostra apparirà evidente al visitatore come sia impossibile guardare le tele senza conoscere la sua storia, i suoi dolori e le sue conquiste. L’opera di Frida Kahlo è in effetti un diario su tela. “Dipingo me stessa”, disse, “perché sono così spesso sola, perché sono il soggetto che conosco meglio”. Sembra che Diego Rivera avesse descritto – il condizionale è d’obbligo con un personaggio così leggendario – il lavoro di Frida come quello di chi si è strappato il cuore per metterlo con maggior realismo nella sua arte. Suo marito e mentore, Diego Rivera appare nelle tele della Kahlo come la sua ragione di vita, e ragione anche di molti dei suoi grandi dolori. Che lei esorcizza in una serie di autoritratti di disarmante sincerità e introspezione, davanti a cui si riflette sul perchè altre donne artiste di quel periodo in Messico – María Izquierdo, Remedios Varo, ad esclusione di Tina Modotti, che però era italiana – non abbiano raggiunto la sua fama mondiale (qui gli incontri organizzati dal museo per approfondimenti sull’artista e il suo tempo). Vuoi perché non avevano sposato un pezzo della storia del Messico come fu Diego Rivera, vuoi perché ormai la figura di Frida, impegnata anche politicamente nelle file del Partito comunista, era diventata un simbolo internazionale. Del Messico ribelle che cerca la sua libertà, della donna che si emancipa, della vittoria dell’arte sulla sofferenza fisica. Perché questa fu la compagnia di Frida lungo tutto l’arco della sua vita. Nata forse con la spina bifida, ammalatasi di poliomielite da bambina, vittima da ragazza di un gravissimo incidente in tram che le inferse il colpo finale per mandare il suo corpo in frantumi, la vita di Frida fu una lotta contro un inarrestabile decadimento. Qualcuno ha detto che Frida Kahlo è vissuta morendo. Persino una delle sue ultime apparizioni è avvolta di un alone di magia e meraviglia, quando sulla sedia a rotelle, magrissima e debole, alza il pugno in segno di protesta contro l’intervento degli Stati Uniti in Guatemala. Il corpo non la sostiene ormai più, ma lo spirito è presente, e bruciante.
Filtrate dal successo mediatico di Frida Kahlo, le opere originali in mostra sorprendono per le ridotte dimensioni. Tanto i murales di Diego Rivera erano una sinfonia d’orchestra, monumentali e loquaci, tanto le tele di Frida vanno a comporre un concerto da camera, un canto in solitudine. A cui le dà forma, plasticismo, severità (si veda il confronto con gli artisti italiani di quegli anni), ma che insieme accende con cromie vivaci, e una ridondante sensualità.
Per approfondire la figura di Frida rimane fondamentale la biografia scritta da Hayden Herrera, Frida. Vita di Frida Kahlo. Ma è visitando la mostra romana (che proseuirà poi per Genova) che si può comprendere l’essenza dell’arte di Frida che, prendendo in prestito le parole di Andrea Fogli, “per noi artisti copernicani e lunari, [l’arte] non nasce dall’arte: nasce dalla vita, da un essere vivente di fronte al male e alla morte. È la vita che si ribella, la vita che si cerca”.
Foto: Frida Kahlo, Autoritratto con collana di spine e colibrì, 1940
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