”Vediamoci davanti all’albero di quel fango di Falcone”: per queste, e altre, parole shock pronunciate al telefono nel 2011, l’ex attaccante del Palermo Fabrizio Miccoli è stato deferito oggi alla Commissione disciplinare della Federcalcio. E dovrà rispondere -secondo l’accusa del Procuratore federale- di ”violazione dei doveri di lealtà, probità e correttezza” e di offesa alla memoria dei giudice Giovanni Falcone per ”la frase, poi riportata da vari quotidiani, ‘quel fango di Falcone”’.
Con lo stesso provvedimento, il procuratore ha anche deferito il Palermo ”per responsabilità oggettiva, per le violazioni addebitate al proprio calciatore”. Quasi otto mesi dopo la pubblicazione delle sconcertanti affermazioni dell’allora beniamino dei tifosi rosanero, la giustizia sportiva ha dunque preso il primo provvedimento nei confronti del giocatore. Un ritardo spiegato con ”la necessità di attendere la chiusura delle indagini penali al fine di acquisire tutti gli elementi utili” all’accertamento dei fatti.
Oggi Miccoli non è più un giocatore del Palermo, nell’estate 2012 è passato al Lecce in Lega pro. All’epoca dei fatti faceva impazzire i tifosi palermitani per le sue scorribande nelle aree avversarie. Nel capoluogo siciliano Miccoli conobbe e frequentò personaggi su cui da tempo si accentrava l’attenzione delle forze dell’ordine. In particolare Marco Lauricella, un giovanotto figlio del boss Antonino, ricercato e poi arrestato nel 2011.
Il telefono di Marco Lauricella era da tempo intercettato dagli investigatori, e fra le tante telefonate dell’uomo furono registrate anche quelle di Miccoli, con gli insulti di quest’ultimo, ripetuti, alla memoria del povero Falcone. Le intercettazioni finirono sui giornali il 22 giugno dell’anno scorso. Miccoli peraltro, secondo gli investigatori, all’epoca della sua permanenza palermitana ebbe anche qualche contatto con Francesco Guttadauro nipote del superboss Matteo Messina Denaro.
L’albero di Falcone era ed è un luogo simbolo di Palermo, dedicato al giudice martire della legalità, massacrato nella strage di Capaci il 23 maggio 1992 insieme con la moglie Francesca Morvillo e i tre uomini della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Qualche giorno dopo la bufera suscitata dalle sue parole, Miccoli si è presentato in lacrime davanti ai giornalisti e alla tv per chiedere pubblicamente scusa alla famiglia Falcone, alla città di Palermo e ai tifosi.
”Non sono un mafioso” disse piangendo l’ex attaccante del Palermo. La vicenda pareva archiviata nell’album dei brutti ricordi, invece oggi la procura federale ha reso nota la sua decisione, e la commissione disciplinare della Federcalcio dirà la sua sulla vicenda.
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