E’ possibile che il buon Mario Draghi non possa pronunciare altre parole se non le stesse ogni giorno? E’ possibile che la Rete (internet) simbolo della comunicazione globale, della Democrazia alla portata di click e di chiunque, sia capace di fare così tanta notizia da tacere? E’ possibile che in Italia qualcuno, uscito da un ritiro di Ministri in concento, decida di chiamare qualche buon diavolo che magari non conosce direttamente, che sappia scrutare il futuro al quale rubare progetti capaci di renderci competitivi in ambito internazionale? Mai dire mai…!!! ma intanto, per allenarci alla chiamata (non si sa mai) regaliamoci un pensiero del Prof. Alessandro Corneli. Redazione ComunicareITALIA
A cura di Alessandro Corneli www.grrg.eu
Un giorno sì e uno no, il presidente della Bce ha qualcosa da dichiarare. Per fortuna non è un tuttologo: i temi che tratta sono sempre gli stessi. Quasi con le stesse parole. E con lo stesso tono felpato da consiglio di amministrazione. Se si eccettua la dichiarazione forte del 26 luglio 2012 – “Siamo pronti a fare tutto il necessario per salvare l’euro” – che calmò i mercati e stabilizzò gli spread, i suoi interventi sono senza data, tutti uguali. L’ultimo è di oggi, in occasione del conferimento di una laurea honoris causa, di cui non aveva assolutamente bisogno, ma conferma la sua italianità di origine a futura memoria e future occasioni. Ecco un’antologia delle affermazioni, uguali a quelle di ieri o di un anno fa, e uguali a quelle che farà domani o tra un anno.
È opportuno mitigare gli effetti recessivi del risanamento dei conti privilegiando “le riduzioni di spesa pubblica corrente e quella delle tasse”.
In Europa, “la tassazione è già elevata in qualunque confronto internazionale”.
La Bce è “pronta ad agire” ancora “se necessario” dopo il taglio dei tassi dei giorni scorsi allo 0,5%.
Per aiutare il credito alle Pmi, “efficaci potrebbero essere anche interventi nazionali con la partecipazione di governi, banche pubbliche e agenzie di sviluppo”.
La disoccupazione in alcuni paesi europei, specie “quella giovanile”, ha raggiunto “livelli” che “rischiano di innescare forme di protesta estreme e distruttive”.
Occorre “una crescita duratura” per ridurre la disoccupazione.
In Europa, da quasi “vent’anni è in atto una tendenza alla concentrazione dei redditi delle famiglie che penalizza i più deboli”.
Occorre “una più equa partecipazione ai frutti della ricchezza nazionale” che aumenta “la coesione sociale” e conduce “al successo economico”.
“Oggi la crescita è più debole in alcuni Paesi che in altri non solo perché il credito è scarso; era più debole anche prima della crisi, nonostante una crescita spesso tumultuosa della spesa pubblica, perché non si erano volute affrontare fragilità strutturali di cui oggi sentiamo tutto il peso”.
Le riforme per rilanciare la crescita passano attraverso “un’efficace promozione e tutela della concorrenza”, un “adeguato grado di flessibilità del mercato del lavoro che sia ben distribuito fra generazioni”, una “burocrazia pubblica che non sia d’ostacolo alla crescita”, “un capitale umano adatto alle sfide poste dalla competizione globale”.
Tanto di cappello! Affermazioni del genere sono sconvolgenti. Rivelano una realtà sconosciuta ai più e ai meno. Nessuno si era accorto di questa realtà che dura da anni. “Se non hanno pane, mangino croissant”. L’unica realtà europea-europea è la Bce. Dopo la riduzione del costo del denaro, che cosa è successo? Le banche hanno elargito prestiti a tutti e a basso tasso d’interesse? Le imprese che hanno chiuso o che hanno licenziato hanno riaperto e hanno spedito lettere di riassunzione? Le gente, con manciate di banconote in tasca, ha ripreso a spendere rilanciando i consumi? Le Borse sono schizzate in alto? No in tutti i casi. Anzi, segnali di pessimismo cominciano ad arrivare anche dalla Germania.
I governi non fiatano più; i parlamenti tacciono; i partiti pensano alle beghe interne e alle prossime scadenze elettorali; i debiti pubblici aumentano, silenziosamente, ma aumentano e lo spread si è adattato a minori rendimenti, pur sempre garantiti. È come se non si volesse spaventare la gente mentre i dati negativi si accumulano. Angela Merkel è in apnea in attesa delle elezioni politiche di settembre e nessuno vuole disturbare la Cancelliera in questo suo dialogo silenzioso con la storia.
Anche Obama tace. Gli dicono che in Siria sono state usate armi chimiche, ma lui fa finta di niente. Israele cerca di svegliarlo con un raid su Damasco. Niente. Una specie di autocensura globale è calata sulla globalizzazione. Non ci sono più vertici internazionali o europei agitati o tempestosi. La cronaca nera ha ripreso il sopravvento, contornata da nubifragi e terremoti sparsi nel mondo. I Paesi Bassi hanno finalmente un re maschio dopo tante regine. Il Regno Unito no, non ancora, ma gli eredi nascono uno dopo l’altro. Per non far crollare un castello di carte, in Italia si è scongiurato il Capo dello Stato di restare al suo posto, poi è scoppiata la polemica: per due anni, no per tre; ma chi l’ha detto? Per sette. Provvidenziale, la notizia della morte di Giulio Andreotti riempirà i palinsesti per qualche giorno. Le agenzie dicono che la notizia è stata la più importante del giorno. Oltre, beninteso, al conferimento di una laurea honoris causa a Mario Draghi. Abbiamo nostalgia di un grido: “Allegria!” (copyright Mike Bongiorno).
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