Roma – a cura di Viviana Normando – Sano e costruttivo è rileggere in chiave moderna il principio dell’economia sociale di mercato alla base dell’analisi, dapprima prettamente economica, poi pubblica dell’opera di Amintore Fanfani, che ha caratterizzato la sua attività di uomo e statista fondata sulla democrazia sociale, con la persona al centro e a vantaggio della collettività.
“Una soluzione terzomondista”, nei primi 40 anni della Repubblica Italiana, tra “l’individualismo liberista o neo liberista” e la collettività socialista comunista o meglio “progressismo laburista socialdemocratico con radici nel collettivismo di vecchio stampo socialista o comunista”.
Tesi utile, quella della “terza forza, per un dibattito da aprire in dimensioni continentali non solo nazionali” (Giuseppe Marra), da riscoprire tutta, più che mai attuale anche a tutt’oggi nei cambiamenti geo politici ed economici, per riflettere e ponderare sugli attuali scenari nazionali, europei ed internazionali. Principi che hanno ispirato la vita sociale politica della nostra storia contemporanea, non solo nei vari mandati fanfaniani di Ministro del lavoro(1948), Ministro dell’Agricoltura (1951), Ministro degli Interni (1953),segretario del Partito della Democrazia Cristiana (dal 1954), diPresidente del Consiglio dei Ministri (dal 1958), di Ministro degli Affari Esteri (dal 1958) o di senatore a vita (1968-94 Dc, 1994-99 Ppi), ma fin dal fondamento della Costituzione.
L’ITALIA E’ UNA REPUBBLICA DEMOCRATICA FONDATA SUL LAVORO
A Fanfani infatti, facente parte della Commissione 75, nel 1946, insieme a Giorgio La Pira e a Giuseppe Lazzati, si deve il primo articolo della Costituzione: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” e la definizione ideale dei fini dello Stato sanciti dal successivo articolo 2, che tratta dell’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica, sociale, come pure del secondo comma dell’art. 41: “La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata a fini sociali.
ALDO MORO
Una vera civiltà (cristiana) non può essere che una civiltà del lavoro (Aldo Moro).
FRANCESCO VERDERAMI
L’ispirazione alla dottrina sociale della Chiesa non preclude a tutti i credo di rinvenire oggi per il tramite anche della metodologia fanfaniana, una soluzione comune, non nel tecnicismo che con evidenza non basta ma in un’inversione di rotta, nella centralità della persona, nella rinuncia al superfluo, che doveva costituire alle origini del capitalismo, il capitale comunitario, con una spinta che pure “in una umana parola si esprime in generosità” (Francesco Verderami).
Nelle sue opere storico-economiche, applicate con coerenza, nel suo agire civile e politico, che hanno fatto centro anche in campo internazionale, spingendo ad esempio John Kennedy a scendere in politica, Fanfani fin dal suo primo scritto “Le Origini dello Spirito Capitalistico in Italia”, espone tra i diversi pensieri, “la regola del giusto mezzo” poiché “in medio stat virtus”, in mezzo sta la virtù, con richiami alla “Summa Theologica” di Tommaso D’Aquino. Le smoderatezze guastano il giusto mezzo della virtù, in un inscindibile legame tra economia e moderatezza, ove Fanfani ha una propria definizione della ricchezza, un mezzo di cui si entra in possesso lodevolmente per il raggiungimento della gratificazione dei bisogni propri e altrui. Il male non consiste nel possesso delle ricchezze, come in molti sono concordi, ma nel farne il fine della vita. E la regola del giusto mezzo non va applicata solo al concetto di ricchezza in via di principio ma anche nelle modalità di acquisto della ricchezza stessa, che devono ispirarsi a criteri di legittimità e di effettivo bisogno.
La ricchezza deve assolvere strumentalmente a due importanti funzioni: la prima, il necessario sostentamento a colui che si è procurato i beni di cui necessita e la seconda, l’elargizione ai poveri di quanto eventualmente disponibile in misura superflua. Nel libro di Fanfani “Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo”, dopo la grande depressione del ’29 quando il sistema economico occidentale ha dato una pessima prova di sé, Fanfani sottolinea come il capitalismo è un sistema economico insostituibile per l’incremento della produzione ma non idoneo a determinare una distribuzione equa delle ricchezze. La crisi del capitalismo, passando per i suoi contrasti e debolezze, trova il suo culmine nell’età contemporanea ove i beni divengono strumenti destinati ad essere usati per il godimento esclusivo di chi li possiede, venendo meno un concetto di socialità del bene materiale e consolidandosi una prassi per la quale il proprietario può servirsene per ottenere un illimitato incremento o una riproduzione sempre meno costosa, in una pratica diffusa ad aumentare il proprio patrimonio di beni materiali.
Vi è stato un allontanamento deleterio dallo spirito economico “cristiano“ iniziale del Capitalismo, caratterizzato per qualità di forza sociale non di passione individuale, con il consolidarsi di equilibri distorti nell’assestamento post secondo conflitto mondiale, con il crollo del blocco sovietico e del relativo sistema di economia pianificata dallo Stato. Ciò fino al collasso di un certo tipo di capitalismo dapprima rapace poi in crisi profonda che nel tempo avrebbe prodotto una ricchezza virtuale pari a circa dieci volte la somma del prodotto interno lordo di tutti i paesi del mondo, una ricchezza fatta con operazioni di finanza allegra che non ha corrisposto nei fatti ad una produzione reale di merci e servizi in ragione del loro effettivo valore ma piuttosto in una previsione di guadagni costruita sul nulla e che, al pari di un grande inganno, si è dissolta al confronto con la realtà (A.F., “Capitalismo, socialità, partecipazione”).
Di questo periodo è l’introduzione della teoria partecipazionistica, il principio di partecipazione economica e politica dell’individuo, per cui ogni sistema economico debba essere funzionale allo sviluppo ed alla piena affermazione di ogni persona producendo beni da utilizzare per l’esistenza e la libertà, per il benessere e la crescita civile, per la pace ed è necessario che il medesimo sistema economico impieghi tutte le risorse naturali disponibili e si garantisca la piena collaborazione di tutte le forze e capacità umane esistenti. Il verificarsi di ciò rappresenta per Fanfani, nella definizione del progetto di Stato-sociale, un importante elemento di prevenzione degli attriti tra pulsioni individualistiche e aspirazioni di socialità.
D’altronde una delle motivazioni per cui il primo principio della nostra Costituzione si basa sul lavoro e quindi sulla persona è che l’uomo è anteriore allo Stato, ove la personalità e dignità umana è un presupposto base dello Stato – ciò si esprimeva fin dalla Enciclica Rerum Novarum. La legge del primato della persona principio ispiratore anche della pace internazionale e del nuovo ordine della comunità internazionale, rimane pur sempre e sviluppa quello della solidarietà nella sussidiarietà.
“Fanfani – scrive Claudio Vasale – tiene a riconoscere e a salvaguardare lo specifico ruolo del lavoratore-collaboratore dell’impresa, micro o macro, che sia, nella più profonda consapevolezza che ‘non serve collettivizzare la proprietà ma occorre universalizzare la responsabilità’, dove tema fondamentale dell’economia sociale di mercato è la libertà intimamente legata al tema della giustizia sociale”.
LA DEMOCRAZIA SOCIALE DI AMINTORE FANFANI
Il libro “La democrazia sociale di Amintore Fanfani”, edito Aracne, scritto da Mario Baccini, Presidente del Microcredito, con prefazioneClaudio Vasale, postfazione Giuseppe Marra Direttore AdnkronosGruppo GMC e di Francesco Verderami, non è una sintesi storiografica, che si dà per scontata, pur ricordandone nella narrazione i passaggi caratteristici, ma è una rivisitazione del personaggio visto con una sensibilità odierna da parte di un uomo politico che non si rassegna a congedare istanze di giustizia sociale nel nuovo assetto geo politico e geo economico, compatibili con un nuovo Stato Sociale sostenibile.
POLITICA E DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA
“Politicamente rifacendoci al concetto politico impostato sulla Dottrina Sociale della Chiesa – scrive Mario Baccini nella introduzione del volume – noi agevoliamo il progresso tecnico. Esso moltiplicando i beni, riducendo la fatica umana, ridurrà le pene nel settore economico, ridurrà la gravità e il numero delle tentazioni nel campo della miseria. E’ necessario adeguarsi ai tempi e sfruttare il progresso tecnologico applicandolo alla politica sociale per ridistribuire le ricchezze e creare benessere diffuso. L’uso dei nuovi media e delle tecnologie che aggregano i cittadini sul territorio e permettono di recuperare anche quella dimensione umana che è alla base del pensiero economico cattolico, devono essere il volano di spinta per la ricomposizione del sistema”.
Il libro è il numero uno di una Collana di Studi della Fondazione Foedus che ospita e sollecita contributi che possano aiutare a ricostituire e a rinnovare la trama di presupposti etici per una coesistenza nazionale solidale diversa a livello nazionale, comunitario, internazionale.
Diverse sono le presentazioni in questi giorni del volume ad esempio con il Direttore Ambasciatore Bruno Bottai e Alessandro Masi il Segretario Generale della Società Dante Alighieri, con Mario Prignano Vice Direttore del TG1, poi, con il direttore del Gruppo ComunicareITALIA Viviana Normando ed a seguire in altre sedi istituzionali ed altrettante autorità.
Facebook
Twitter
YouTube
RSS