Robert Mapplethorpe nasce nel 1946 a Long Island, terzo di sei figli in una famiglia cattolica della media borghesia. A sedici anni si iscrive al Pratt Institute di Brooklyn per studiare pittura e scultura. I suoi primi lavori sono opere di montaggio e di assemblaggio di figure ed oggetti ritrovati, in cui il suo interesse per la fotografia, suscitato anche dalla grande ammirazione per Andy Warhol, si manifesta con l’utilizzo di materiale fotografico di repertorio, immagini strappate di riviste e dai libri.
Influenzato dall’amico John McEndry, curatore della sezione grafica di stampa e fotografia del Metropolitan Museum of Art di New York, Mapplethorpe comincia ad interessarsi a questa arte ed a collezionare vecchie fotografie. Nel 1972 inizia a scattare le sue prime fotografie con una Polaroid, mezzo che gli consente di creare un rapporto più intimo e diretto con i soggetti e le scene rappresentate. Le immagini catturano atti di un tempo come bloccato, fissato, in cui i soggetti non vengono costretti in posa ma incoraggiati ad incontrarsi con l’obiettivo della macchina con estrema familiarità. I primi scatti sono autoritratti e ritratti dell’artista amica Patti Smith, con la quale si era trasferito a vivere all’interno dell’oggi leggendario Chelsea Hotel di Manhattan. Seguono poi scatti di amici e conoscenti: artisti, compositori, attori pornografici ed omosessuali, che suscitano scalpore, tradendo lo sguardo libero con cui l’artista tematizza erotismo e omosessualità.
Durante gli anni Ottanta l’attenzione di Mapplethorpe si indirizza verso forme classiche di bellezza. Soggetti privilegiati del suo obiettivo diventano statuari nudi maschili e femminili, fiori, nature morte, tutti raffigurati in composizioni rigide e con un livello di precisione fotografica straordinari, mentre si segnala l’introduzione di nuove tecniche e formati con Polaroids colorate, fotocalcografie, stampe ai sali d’argento su carta e lino.
L’artista, oggi celebrato come uno dei più importanti del XX secolo, muore a New York nel 1989 per complicazioni dovute all’infezione da virus HIV.
Il grande e trasgressivo fotografo americano è riuscito a creare soprattutto negli ultimi 15 anni della sua vita, un mondo di persone e oggetti che esprimono la sua costante ricerca della Bellezza. Il suo rigoroso bianco e nero identifica forme che si collocano nello spazio con un’eccezionale naturalezza. Il corpo nudo maschile è il pretesto per una ricognizione sulla forma, sulle sue infinite possibilità. La fotografia molto morbida sembra accarezzare la pelle dei modelli creando degli esempi di perfezione. Lo stesso contrasto tra il bianco e nero si arricchisce delle tonalità di grigi che rende la superficie dei soggetti quasi tattile. Ma qual è il “mondo di Robert Mapplerthorpe”? Certamente l’indagine sul corpo maschile ha in lui uno dei migliori esempi della fotografia mondiale, ma nello stesso tempo e sullo stesso piano ci sono i fiori. Questi hanno una grande tradizione non soltanto nell’arte europea, ma anche in quella americana soprattutto per merito di Georgia O’ Keefe. I lavori di Mapplerthorpe contengono questa memoria, ma nello stesso tempo mettono maggiormente in luce non tanto i valori tonali, quanto piuttosto la loro sensualità. Per il fotografo bellezza e sensualità sono sinonimi. La ricerca dell’una implica l’altra e viceversa. Per questo la mostra vuole evidenziare come se alla base vi è una ricerca della forma, l’istinto fondamentale è diretto verso un concetto di bellezza che fa parte di tutte le creature viventi e irradia la sua energia anche sugli oggetti che ci circondano.
E sono le forme angolari e rotonde a prevalere, così come il rapporto tra il bianco e nero non é certo costruito su di una rigida opposizione quanto piuttosto sulla complementarietà. Questo è il principio che è all’origine della fotografia di Mapplerthorpe. Tutte le forme viventi costituiscono un tutt’uno con il mondo. La mostra evidenzia che su questo concetto il mondo del fotografo americano possiede una classicità che lo avvicina alla grande arte rinascimentale, sicuramente alla plasticità della pittura di Michelangelo. Pur in una visione laica ma è chiaro che dietro le fotografie in bianco e nero vi è un totale rispetto per la vita, un’idea quasi religiosa. E tutto vi rientra, anche le stranezze e le trasgressioni che certamente appartenevano all’arte di Mapplerthorpe, ma che nei lavori vengono sublimate, quasi trascese. In questa prospettiva si apre una visione di grande semplicità e chiarezza. Il senso della vita è la Forma. Tutto può essere riassorbito in questa, perché è la sola strada verso la Bellezza. Allora in questa chiave la mostra vuole essere un esempio di come anche nell’arte contemporanea esistano ancora i concetti classici dell’arte. E’ possibile ancora, cambiati alcuni parametri dovuti ai tempi e alle tecniche, avvicinare i capolavori del passato con quelli del presente. Il ruolo della fotografia in tutto questo è molto importante in quanto possiede un linguaggio diretto che tutti riescono a capire. E che l’arte, la grande arte, sia sempre portatrice di bellezza, è qualcosa in cui bisogna continuare a credere.
testo: www.archimagazine.com
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